INTRODUZIONE
Quella degli uomini dai piedi palmati non è il classico tipo di leggenda che siamo abituati a sentire di solito.
Certo, rispetto ad altre storie più o meno plausibili che trattano di "mostri" o creature provenienti da mondi lontani, presenta in genere un carattere più tranquillo e meno angosciante, ma la differenza principale è che non è localizzata, come si potrebbe pensare, in un periodo storico o in una regione spaziale ben definita.
Tutt'altro.
UN GIRO ATTORNO AL MONDO, ANTOLOGIA DI LEGGENDE DIMENTICATE
SUD AMERICA (diversi secoli prima di Cristo)
L’Eva dei popoli andini, madre del genere umano, era Orejona.
All’alba dell’umanità arrivò una nave splendente “come l’oro”, dalla nave scese una donna bellissima, ma dal cranio a forma di pan di zucchero, mani e piedi palmati, con quattro dita e delle orecchie molto grandi. Fu lei che generò i primi uomini accoppiandosi con un tapìro.
Poi Orejona ripartì con la sua nave e non fu più vista.
Suggestiva l’analogia con una leggenda Navajo che narra della “donna bisonte bianco” scesa dal cielo per insegnare ai nativi americani come vivere una vita virtuosa e come pregare il Creatore.
Un giorno si trasformò in un bisonte bianco, salì tra le nuvole e nessuno la vide più.
È chiaro che ormai queste sono considerate solo fantasiose leggende e questa tesi è avvalorata dal fatto che la maggior parte di esse appartengono a popoli estinti o che non hanno comunque raggiunto un grado di civiltà considerevole e quindi tale da incutere rispetto verso chi è disposto ad ascoltare queste storie solo per rispondere alla fine con il classico sorrisetto ironico.
GIAPPONE (dal IX secolo d.C. in poi)
Archetipo ideale del “mostro” folcloristico è il kappa, La maggior parte delle descrizioni li descrive come umanoidi delle dimensioni di bambini, sebbene i loro corpi siano più simili a quelli delle scimmie o a quelli delle rane piuttosto che a quelli degli esseri umani. Alcune descrizioni dicono che le loro facce sono scimmiesche, mentre secondo altre hanno un viso con un becco simile a quello delle tartarughe. Generalmente i disegni mostrano i kappa con spessi gusci simili a quelli di una tartaruga e con la pelle scagliosa in colori nell'intervallo che va dal verde, al giallo o al blu.
Il prof. Komatsu Kitamura famoso storiogafo e archeologo giapponese ha scoperto un vecchio testo illustrato in cui veniva rappresentato un kappa, la cui presenza è stata segnalata al tempo di Heian (dal IX al XI secolo d.C.). Vengono descritte come simili all'uomo, ma caratterizzati da deformazioni mostruose. Vengono presentati come bipedi con arti palmati e dotati di tre dita terminanti ad uncino, con il dito centrale molto più lungo. La loro pelle è bruna,lucida e liscia, la testa sottile, le orecchie di forma triangolare e grandi. Sulla testa portano uno strano "cappello con quattro aghi", e il loro naso sembra una proboscide che termina dietro le spalle, dove si allaccia ad una gobba a forma di cassetta. La descrizione ricorda molto un moderno sommozzatore.
I kappa abitano i laghi e i fiumi del Giappone e sono dotati di diverse caratteristiche che li aiutano in questo ambiente, come mani e piedi palmati. Si dice alle volte che puzzino di pesce e certamente sanno nuotare bene. L'espressione popolare kappa no kawa nagare ("un kappa che affoga") significa che anche gli esperti possono sbagliare.
La caratteristica principale del kappa è comunque la depressione piena d'acqua in cima alla testa. Questa cavità è circondata da ispidi e corti capelli, che hanno dato nome al taglio di capelli okappa atama. Il kappa deriva la sua forza incredibile da questo foro pieno d'acqua e chiunque ne affronti uno può sfruttare questa debolezza semplicemente facendo in modo che il kappa rovesci l'acqua dalla sua testa. Un metodo sicuro è di appellarsi al profondo senso di etichetta del kappa, dato che questo non può non ricambiare un profondo inchino, anche se questo significa rovesciare l'acqua dalla testa. Una volta vuotata la riserva d'acqua il kappa è seriamente indebolito e può anche morire. Altri racconti dicono che quest'acqua permette ai kappa di muoversi sulla terra ed una volta svuotata la creatura è immobilizzata. I bambini testardi sono incoraggiati a seguire il costume di inchinarsi con la scusa che è una difesa contro i kappa.
I kappa sono combinaguai maliziosi. I loro scherzi vanno dal relativamente innocente, come rumorose flatulenze o guardare sotto al kimono delle donne, fino ai più problematici, come rubare il raccolto, rapire bambini o stuprare donne. Infatti i piccoli bambini sono uno dei pasti preferiti dei kappa, sebbene siano anche disponibili a mangiare adulti. Si nutrono delle loro vittime inermi. Si dice che i kappa abbiano anche paura del fuoco ed alcuni villaggi tengono festival di fuochi d'artificio ogni anno per spaventarli e tenerli lontani.
I kappa non sono comunque interamente antagonistici agli esseri umani. Sono curiosi della civilizzazione umana e possono comprendere e parlare il giapponese. Perciò a volte sfidano chi incontrano a batterli in test di abilità, come lo shogi (un gioco simile agli scacchi popolare in Giappone) o un incontro di sumo. Possono anche stringere amicizia con esseri umani in cambio di doni e offerte, specialmente cetrioli, il solo cibo che i kappa apprezzino più dei bambini umani. Alle volte i genitori giapponesi scrivono i nomi dei loro bambini (o i loro propri nomi) su cetrioli e li lanciano nelle acque infestate di kappa per placare la creatura e permettere alla famiglia di fare il bagno.
Una volta stretto amicizia con il kappa, si dice che questo esegua diversi tipi di compiti per gli esseri umani, come aiutare i contadini ad irrigare i campi. Sono anche gran conoscitori della medicina e una leggenda afferma che hanno insegnato agli esseri umani come guarire le fratture. A causa di questi aspetti benevoli alcune cappelle sono dedicate all'adorazione di un kappa particolarmente utile. I kappa possono anche essere truffati nell'aiutare le persone. Il loro profondo senso del decoro non permette loro, per esempio, di rompere un giuramento, quindi se si riesce ad obbligare un kappa a promettere aiuto, il kappa non ha alcuna scelta che di mantenere la parola data.
BRITANNIA (attorno al XII secolo d.C.)
Nelle credenze popolari, camminando nel bosco talvolta un fruscio, un ramo spezzato, una luce apparsa all'improvviso possono essere rumori o visioni causati dal Piccolo Popolo e non da animali del bosco.
Tra le numerose leggende due in particolare presentano alcuni tratti in comune con le tradizioni giapponesi. La Merrow infatti, detta donna del mare, ha un aspetto quasi in tutto simile a quello umano, spesso messo anzi in risalto da una marcata ed eterea bellezza. Essa intreccia relazioni ed arriva a sposarsi con gli uomini, da cui si differenzia dalle donne umane appunto per i piedi palmati, appartiene al popolo del mare (in cui sono presenti vari personaggi legati al folclore popolare), spesso però abbandona i mariti per ritornare nel suo paese sotto le onde detto Tir fo Thainn.
Decisamente meno rassicurante è invece la Bean Nighe, che letteralmente significa "la lavandaia dei guadi" è la versione scozzese della Bean Sidhe, ovvero la Banshee irlandese. Vaga vicino i torrenti desertici dove lava via il sangue dai vestiti mortuari di chi è pronto per morire. Si dice che le Bean Nighe siano spiriti di donne morte mentre partorivano e vagano fino al giorno in cui sarebbero morte normalmente.
Si pensa che la Bean Nighe abbia una naricee, un grande dente sporgente, piedi palmati e grossi seni penduli. Un mortale che la avvicini furtivamente mentre sta lavando e succhi il suo seno può pretendere di essere suo figlio adottivo e richiederle esaudito un desiderio.
La lavandaia dei guadi è conosciuta anche sotto il nome generico di Ban nighechain (piccola lavandaia) o nigheag na h-ath (piccola lavandaia dei guadi).
FRANCIA (XVIII secolo d.C.)
Josette Villefranque, autrice di un interessantissimo libro, Imagerie des Corbières, racconta di una pastorella che, alla ricerca di una pecorella scomparsa, sentì un belato in fondo ad una gola. Dopo essere scesa, trovò la pecora, ma anche l'accesso ad una caverna collegata ad altre grotte. Sul terreno vide anche pochi pezzi d'oro. Li raccolse e, tornata al villaggio, lì mostrò ai compaesani. Nessuno credette alla storia dell'oro nella caverna: ritenuta una ladra, venne giustiziata.
Bizzarri cita gli studi di Louis Fédié, autore di analisi storiche sulla zona di Haut Razès. Fédié ha parlato di un popolo di esseri soprannaturali, detti “Las Encantados”, obbligati a vivere nelle caverne, adoratori della Grande Madre e di un dio cornuto, caratterizzati da piedi palmati e deformità nel viso e nel corpo. Di questo popolo, che si potrebbe credere parto di una fantasia troppo accesa, sembra esistano invece prove storiche, in una serie di leggi restrittive, che li obbligavano a nascondere i piedi, coprire il capo senza capelli e portare sugli abiti un segno d'infamia: una zampa d'oca dipinta di rosso. Fu la Rivoluzione Francese ad eliminare questi segni di discriminazione.
Secondo alcuni studiosi, l’effettiva presenza di questo popolo in Francia in quel preciso periodo storico può addirittura essere collegata al mito senza fine di Rennes-le-Chateau.
STATI UNITI(inizi del XX secolo)
Howard Phillips Lovecraft (Providence, Rhode Island, 1890-1937) è generalmente ritenuto un autore dell’orrore, ma, “per il particolare senso di cinismo cosmico che gli è connaturato, può considerarsi un trait d’union tra il soprannaturale e la fantascienza”.
In Dagon (1917), l’io narrante e protagonista, è un marinaio. Dopo che il cargo, su cui viaggia, è affondato da un cacciatorpediniere tedesco al largo del Pacifico, l’uomo è fatto prigioniero, ma riesce a fuggire su una scialuppa. Trascorsi alcuni giorni, spinto dalle correnti, improvvisamente, il naufrago approda su un’isola dalle sponde limacciose, non segnata sulle carte. Qui, indotto da curiosità, s’inoltra in una grotta sotterranea, dove scorge un ciclopico monolito su cui sono incisi strani geroglifici. D’un tratto un’orrida creatura anfibia si risveglia. Datosi alla fuga di fronte alla terrifica divinità degli abissi, l’uomo è tratto in salvo da una nave statunitense e ricoverato nell’ospedale di San Francisco. Dimesso dal nosocomio e tornato a casa, il marinaio si accorge che l’essere mostruoso l’ha seguito sin lì.
All’interno del testo, si rivela di grande interesse la descrizione di Dagon, la creatura anfibia cui l’autore diede il nome di un’antica divinità filistea. Dagon, di notevole statura, è “dannatamente umano, nonostante le mani ed i piedi palmati. Ha le labbra grosse, cascanti, gli occhi vitrei e sporgenti… gli arti superiori coperti di squame.”
L’icastica raffigurazione del dio batraciforme richiama i resoconti di alcuni testimoni che nel corso, per lo meno, di questi ultimi decenni, hanno avvistato nel Polesine, ma anche in altre regioni italiane e del mondo, grottesche entità presumibilmente anfibie. Si può pensare ad una semplice coincidenza, considerando la fervida, visionaria fantasia di Lovecraft. Sennonché recentemente è intervenuta una sorprendente scoperta, ossia il ritrovamento di un manoscritto, che sembra autentico, in cui il narratore statunitense racconta di un suo viaggio in Italia, per la precisione nel Polesine. È possibile che Lovecraft, venuto a conoscenza di leggende (?) sull’inquietante creatura che popola la zona, decise di trarvi spunto per il suo racconto…?
Secondo queste leggende e testimonianze l’essere avvistato nell’ultimo secolo nel Polesine (ma anche in altre regioni italiane e del mondo) è alto due metri, due metri e mezzo. Le mani, con quattro dita, sono palmate. I piedi sono dotati di tre dita ungulate e, in alcuni, casi, palmati, quindi adatti al nuoto. La testa è piuttosto grossa e si protende in un muso allungato, il collo è sottile. Le cavità orbitali sono grandi e la pupilla, verticale come quella dei rettili, si staglia su una cornea giallastra o rosso-giallastra. Il corpo è ricoperto da scaglie verdastre.
Questa entità anfibia (ma il discorso meriterebbe forse un approfondimento a parte) ricorda pure delle creature i cui caratteri somatici sono stati rievocati dalle vittime di “abduction” sotto ipnosi: si tratta di alieni alti circa due metri e quaranta, dalla pelle bianca ed umidiccia, testa con occhi grossi, circolari, mani palmate, terminanti in dita dai polpastrelli ingrossati sulla punta.
NORD ITALIA (periodo storico imprecisato)
Tanto tempo fa a Mongrando, un paesino adagiato in un angolo del Biellese, giunsero degli stranieri provenienti dal Nord. Erano persone operose e cordiali e in breve tempo furono accettati con benevolenza da tutti. Una delle loro abilità meravigliava davvero gli abitanti del luogo: erano capaci ad estrarre oro dai torrenti e dalla terra.
Mentre gli stranieri maschi erano degli omaccioni alti e rudi, le fanciulle possedevano una bellezza straordinaria, con la carnagione bianchissima e i profondi occhi azzurri che ammaliavano. Vestivano fruscianti gonne così lunghe che non si vedevano mai le punte dei piedi.
Conoscevano tutti i segreti delle erbe e preparavano infusi e decotti per curare questo o quel malanno a chiunque chiedesse il loro aiuto. E furono loro che pazientemente insegnarono a tessere la tela. Mosse da un impeto di generosità , si spinsero a promettere di rivelare dove si trovava il favoloso tesoro della Bessa.
Erano così graziose e garbate che furono soprannominate "Fate".
Ma la bellezza e la grazia che le faceva benvolere da tutti, accese presto il tarlo dell'invidia nelle donne di Mongrando. Quelle straniere erano temibili rivali che bisognava neutralizzare. Insospettite dalla lunghezza insolita delle gonne, volevano smascherare con l'astuzia il segreto che le Fate di certo celavano.
Le mongrandesi, sempre più inacidite, strinsero un patto con alcuni malandrini e attesero pazientemente il giorno della festa del paese. Alla data fatidica esplosero le danze e l'allegria e tutti, ignari di ciò che si preparava, si riversarono fuori dalle case. In quel momento gli scapestrati entrarono in azione e deviarono il corso di un ruscelletto verso il centro del paese. La strada principale sembrò trasformarsi in un fiume.
Le belle Fate, colte di sorpresa, sollevarono svelte le gonne per non bagnarle. Fu allora che tutti videro il segreto a lungo nascosto. Le Fate avevano i piedi palmati... Come le oche. I malandrini, istruiti dalle comari, presero a deridere le malcapitate. Ed esse, umiliate, si offesero profondamente ed abbandonarono il territorio di Mongrando. Ma prima di andarsene dissero, sibilline: "Ai Fate as' na van, ma Mungrand as pentirà . Sempre 'l marcrà 'n s' lor, ma mai lu trouvrà ."
Così accadde. Le Fate se ne andarono e del favoloso tesoro della Bessa nessuno mai seppe nulla. Qualcuno dice di aver visto in qualche notte particolarmente cupa strani bagliori nel folto della boscaglia, ma non si trovò mai nulla più che qualche pagliuzza dispersa nel fiume Elvo.
LE IPOTESI
Trovare una motivazione a tali leggende, o giustificarne l'eventuale frammento di verità , è sempre quantomeno arduo e probabilistico. Anzi, a dire il vero spesso aggiungere un contesto fisico e matematico ai frammenti di poesia che ci giungono dal passato ne impoverisce il senso e la mistica bellezza.
In ogni caso, per coloro che non si stancano di interrogarsi sul significato intrinseco delle cose, ho proposto due possibili e opposte chiavi di lettura del fenomeno.
Se pensate che il sentimento di stupore e innocenza, che invariabilmente nasce ascoltando con il cuore la testimonianza del passato, meriti più rispetto della vostra sete di conoscenza, vi ringrazio per la pazienza dimostratami fino a questo punto e vi porgo rispettosamente i miei auguri.
In caso contrario, continuate tranquillamente a leggere. La verità , forse, sta anche in questo caso nel mezzo.
IPOTESI FOLCLORISTICA:
La tesi che fa da fondamento a questa ipotesi è che gli uomini dai piedi palmati in realtà non siano mai realmente esistiti. In questo caso, tutte le leggende a riguardo sono da considerarsi totalmente inventate e possono essere interpretate in vari modi a seconda del contesto sociopolitico a cui appartengono.
Tra le motivazioni più probabili che potrebbero portare alla nascita di una "storia" può esserci quella dell’interesse personale o collettivo. Per tramandare un insegnamento o per rendere accessibile a tutti un dato concetto si costruisce una vicenda di fantasia che ne possa essere il veicolo: pensiamo ad esempio al significato benevolo del Kappa nella trasmissione delle abitudini dei bambini giapponesi. Oppure si utilizza una metafora che sia universalmente riconoscibile e che “prenda in prestito” per questo elementi dal mondo naturale e animale, e che serva a descrivere atteggiamenti comuni e a portare una morale oggettiva: ed ecco che nasce la leggenda delle fate di Biella, che nonostante la loro buona volontà vengono sospettate e derise solo perché l’invidia delle comari non permette di accettare la loro diversità.
In alcune occasioni non è previsto che una leggenda debba avere per forza un insegnamento, ma può essere la manifestazione delle paure di chi la tramanda, ed incarnare per questo tratti angoscianti al solo scopo di intimorirne l’ascoltatore, ed ecco che in luoghi e periodi storici diversi compaiono leggende analoghe, perché per l’uomo certi concetti sono da sempre sinonimo di ansia e terrore, indipendentemente dalla cultura.
Spesso quindi molte leggende nascono dal terrore verso l’ignoto, dall’odio di chi non riesce a comprendere un fenomeno a cui non sa dare un nome, e quindi lo associa alla tradizione che, nella sua cultura, è portatrice di malvagità e sofferenza: ed ecco che gli uomini dagli arti palmati divengono creature guidate dal Maligno, e come tali intoccabili e immonde.
Ci sono infine testimonianze di simili dicerie diffuse apposta solo per screditare una persona: la futura moglie di Luigi XV° ad esempio non aveva riscosso subito una buona impressione a corte, era stata messa anche in giro la voce che avesse i piedi palmati e fosse epilettica, nonostante una visita condotta dai medici di corte l’avesse considerata perfettamente sana.
IPOTESI EVOLUZIONISTA:
Contrariamente a quanto può sembrare, l'evoluzione di per se stessa non è progressiva e non tende all'equilibrio (a meno di non ammettere l'intervento di una autorità superiore in grado di condizionarne lo svolgimento, ma questa, come si dice, è un'altra storia...). L'evoluzione è causata da mutazioni casuali nel patrimonio genetico di una popolazione, che alla lunga si dimostrano necessarie per l'adattamento a nuove condizioni ambientali. Fortunatamente per gli umani, la nostra è la specie di mammifero più generalizzata sul pianeta, e proprio grazie a questo nel corso dei secoli ci siamo garantiti un accesso privilegiato attraverso moltissime variazioni ambientali.
Detto ciò, è comunque difficile immaginare una condizione ambientale così diversa da quelle a cui siamo abituati e che sia in grado di condizionare la selezione naturale nella comparsa di cambiamenti radicali. Allo stesso tempo tuttavia è facile presupporre che se le mutazioni sono casuali per ogni individuo che nasce con il fatidico gene in grado di garantirgli la sopravvivenza all'ambiente, ve ne siano molti altri che nascono con mutazioni "non necessarie" o addirittura controproducenti, e che in genere sono destinati ad essere presto soppiantati nella lotta per la supremazia. Noi umani inoltre tendiamo da sempre a combattere gli effetti della selezione naturale, ad esempio con la medicina o accudendo i nostri simili.
Attraverso questa che quindi potremmo chiamare "selezione innaturale", individui portatori di anomalie genetiche potrebbero in teoria arrivare tranquillamente all'età adulta, e giungere anche ad avere figli che saranno a loro volta affetti da queste anomalie.
In più, è sicuramente accettabile l'idea che queste mutazioni, anche se casuali, possano ripetersi, con una certa frequenza probabilistica relativamente rara, in diversi momenti storici e in diverse aree geografiche con i medesimi effetti.
Con questi presupposti la conseguenza naturale è la comparsa di ceppi genetici localizzati, destinati a perdurare finché un cambiamento nelle condizioni ambientali ne determina la totale scomparsa. Nella storia umana, l'esponente più autorevole e longevo di questa eventualità fu certamente l'uomo di Neanderthal, che non è mai stato un esemplare intermedio dell'evoluzione dell'uomo, ma una vera e propria specie a se stante completamente diversa. Un ramo diverso, se vogliamo, dello stesso albero.
Ed eccoci giunti alla tanto sospirata ipotesi, e cioè che gli uomini dai piedi palmati siano realmente esistiti nella storia come individui portatori di una malformazione non letale, e che siano stati visti dalla gente come entità dai tratti mitici se non malefici, e che in questo modo sia nata la leggenda, nei luoghi corrispondenti che, nel corso del tempo, hanno visto la nascita e la scomparsa dei ceppi genetici "incriminati", e che hanno poi assunto significato diverso a seconda del periodo e del contesto storico in cui sono state tramandate.